Puglia: prime valutazioni del possibile impatto della riforma della Politica Agricola Comune (PAC) sull’agricoltura pugliese

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18 ottobre 2010

Pubblichiamo, di seguito, una nota di Carmelo Rollo, Presidente Legacoop Puglia e di Angelo Petruzzella, Responsabile Legacoop Agroalimentare Puglia, sulle valutazioni del possibile impatto della riforma della Politica Agricola Comune (PAC) sull’agricoltura pugliese.
“Nei prossimi giorni negli organismi comunitari (Consiglio dei Ministri, Commissione Europea, Parlamento Europeo) saranno presentati i primi documenti ufficiali sulla riforma della Politica Agricola Comune (PAC). Si chiude così sicuramente una fase decisiva di un confronto di ampio respiro nel quale il nostro paese, governo in testa, ha brillato per assenza. Un confronto sul futuro della nostra agricoltura e quindi sul futuro di centinaia di migliaia di imprese agricole, sulla nostra industria agroalimentare, sugli equilibri ambientali del nostro territorio, sulle caratteristiche del nostro paesaggio agrario. Insomma, un confronto decisivo su aspetti che da sempre interagiscono con l’intera popolazione, sulla qualità della vita di noi tutti cittadini. Ed è sicuramente la mancata piena consapevolezza di questo aspetto a limitare l’attenzione del mondo politico alle scelte della PAC. Oggi alcune scelte di fondo sono state fatte con l’individuazione dei due fondamentali campi di intervento della nuova PAC. Il sostegno al ruolo di “bene pubblico” svolto dall’agricoltura (salvaguardia e valorizzazione del territorio e del paesaggio agrario, equilibrio idrogeologico, ecc.), al quale associare gli interventi a sostegno della competitività, nell’ambito di precisi e non più eludibili vincoli di sostenibilità ambientale. Un aspetto quest’ultimo di particolare importanza per un’agricoltura il cui impatto ambientale negativo è tutt’altro che marginale.
L’altro campo di intervento è quello della regolarizzazione dei mercati per sottrarli a quelle “turbative” che in questi anni hanno profondamente inciso sul reddito delle aziende agricole. Riteniamo opportuno soffermarci su alcune questioni legate al primo campo di intervento, per l’impatto che potrà avere su una realtà agricola come quella pugliese caratterizzata da una estrema polverizzazione delle imprese agricole e agroalimentari. In Puglia su circa 250.000 aziende (il censimento ufficiale nel 2000 ne contava addirittura circa 350.000) il 70% non superano i due ettari. Solo 11mila aziende hanno più di 20 ettari e utilizzano quasi il 50% della superficie agricola utilizzata regionale. Il sostegno alla produzione di “beni pubblici” si realizzerà attraverso un “pagamento disaccoppiato” (da “cosa” e da “quanto” si produce) legato sostanzialmente alla superficie e sempre più vincolato, giustamente, a determinati comportamenti virtuosi (“condizionalità”). Questo sostegno sarà integrato probabilmente da ulteriori incentivi legati invece alla collocazione territoriale (“zone svantaggiate”, aree protette, ec). Ora questo sostegno pur nell’ipotesi (speriamo) di una non sostanziale riduzione delle risorse destinate dalla U.E. alla PAC, in varie simulazioni, è stato calcolato oscillerà tra i 150 e 250 euro/ha. Questo vorrà dire per il 70% delle aziende pugliesi (o meglio per il 70% di proprietari di terreni destinati alla produzione agricola) usufruire di un sostegno di minima entità. Allora la domanda: ha un senso disperdere decine di milioni di euro per un sostegno assolutamente ininfluente sul reddito di questi “conduttori di terreni agricoli” e per il sistema produttivo? E’ ormai chiaro a tutti (o così dovrebbe essere) che non ci sono più le condizioni, le risorse, per interventi assistenziali, e che se non superiamo la frammentazione delle nostre aziende agricole e delle nostre imprese agroalimentari, abbiamo poche possibilità di sopravvivere in un mercato sempre più grande, sempre più competitivo. Ha un senso quindi distogliere queste risorse da interventi per aumentare la competitività del sistema, sostenendo tra l’altro un costo amministrativo per la gestione di questi aiuti da parte della pubblica amministrazione proporzionalmente esagerato rispetto a quanto verrebbe erogato?
Potrebbe avere un senso (e lo ha sicuramente) solo se queste superfici si aggregassero e venissero gestite nell’ambito di una filiera produttiva organizzata per il mercato. Se facessero parte di sistemi aggregati in grado di abbattere i costi di produzione, di garantirne in ogni caso una efficiente conduzione e il rispetto di quei vincoli ambientali che abbiamo detto ineludibili, di utilizzare tecniche colturali in grado di migliorare e garantire la qualità e salubrità dei prodotti agricoli. Tutti aspetti, diciamo le cose per quel che sono realmente, che proprio nella conduzione delle piccole superfici trovano minore applicazione.
Ecco allora l’altro grande tema: l’aggregazione. È dall’inizio degli anni ‘80 (30 anni fa) che l’Unione Europea incentiva le forme di aggregazione: prima chiamate Associazioni di produttori poi diventate Organizzazioni dei produttori. Nel nostro paese, e al Sud in modo eccellente, siamo stati maestri nel trasformare gran parte di queste forme di aggregazione, che dovevano organizzare il prodotto per valorizzarlo sul mercato, in grandi carrozzoni burocratici che hanno gestito carte . Vogliamo chiudere questa triste vicenda, vogliamo lavorare per costruire moderne forme di Organizzazioni di produttori in grado di gestire realmente il prodotto, di gestire grandi programmi di valorizzazione del prodotto, di mettere in piedi strumenti per la sua commercializzazione su un mercato che non può più essere pensato in una dimensione nazionale? C’è da inventarsi qualcosa?  Poco o niente, c’è l’esperienza dell’Organizzazione Comune di Mercato (O.C.M.) dell’ortofrutta, la quale ha favorito la costituzione di Organizzazioni di Produttori che gestiscono realmente il prodotto e con “programmi operativi” proporzionati al fatturato (al fatturato e non a fantomatici valori di “produzione controllata” o altre invenzioni linguistiche), cofinanziati dall’Unione Europea, attuano politiche di investimento per le aziende agricole associate legate a precisi programmi commerciali; attuano interventi di promozioni e azioni di ricerca; insomma attuano tutto quello che serve per aumentare la competitività delle aziende nell’ambito di una filiera organizzata. Non a caso le Organizzazioni di produttori (quelle vere) sono le uniche strutture che sono riuscite ad attivare proficui rapporti con la Grande Distribuzione Organizzata (si guardi proprio in questi giorni alla campagna di promozione dell’uva da tavola pugliese negli ipermercati Coop) con la quale, al di là dei naturali conflitti di interesse, si può dialogare partendo dal presupposto di avere una offerta organizzata.
La nostra Regione che coordina nell’ambito della conferenza Stato-Regioni gli Assessorati all’Agricoltura, può verificare se ci sono le condizioni politiche per accelerare una moderna riforma delle organizzazioni comuni di mercato per le altre principali produzioni italiane e meridionali in modo particolare, uva da vino, olivo, cereali, nel solco dell’ O.C.M. ortofrutta. Le forme aggregate sono anche le uniche che possono consentire alle aziende agricole di affrontare e gestire progetti di produzione di energia da fonti rinnovabili determinando importanti integrazioni di reddito, fatti salvi quegli adeguamenti normativi a favore dei produttori agricoli che da anni, come organizzazione, chiediamo.
In Puglia non abbiamo una legge che incentiva e sostiene nella fase di avviamento le Organizzazioni dei Produttori, la si può costruire rapidamente partendo dalle esperienze regionali più avanzate, dove hanno incluso anche interventi per il sostegno e il rafforzamento delle filiere.
Ci sono le condizioni per destinare a questi interventi, sicuramente approvati dalla U.E., risorse adeguate, facendo una precisa scelta politica.
Queste sono oggi, a nostro avviso, le opzioni, rispetto a una nuova PAC, ripetiamo, ormai definita nelle sue scelte di fondo.




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