COMBATTERE LA PESCA ILLEGALE VIETANDO QUELLA LEGALE?
Pesca e acquacolturaLEANZA COOPERATIVE PESCA: SE DOVESSIMO VIETARE TUTTO CIÒ CHE NON SI RIESCE A CONTROLLARE IN MODO ADEGUATO PER IMPEDIRE PRATICHE ILLEGALI, SAREBBERO MOLTE LE ATTIVITÀ DA METTERE FUORI LEGGE.
COMBATTERE LA
PESCA ILLEGALE VIETANDO QUELLA LEGALE?
ALLEANZA
COOPERATIVE PESCA: SE DOVESSIMO VIETARE TUTTO CIÃ’ CHE NON SI RIESCE A
CONTROLLARE IN MODO ADEGUATO PER IMPEDIRE PRATICHE ILLEGALI, SAREBBERO MOLTE LE
ATTIVITÀ DA METTERE FUORI LEGGE.
Tra queste potrebbe rientrare anche la pesca ricreativa in mare.
Roma, 3 gennaio 2022 - Pesca illegale nel bacino del
Po (e altrove in Italia), effettuata da organizzazioni a delinquere che
catturano ingenti quantitativi di prodotti ittici con strumenti vietati dalla
legge e li esportano verso l'est europeo. Questo fenomeno, che peraltro ha già
visto compiere efficaci opere di contrasto da parte delle forze dell'ordine
(operazione Gold River: 14 persone indagate, sequestro di immobili, sanzioni
per 42.000 euro), sarebbe la motivazione con cui una importante federazione
italiana della pesca sportiva sostiene a spada tratta la proposta di legge 2328
all'esame della Commissione Agricoltura della Camera dei deputati in queste
settimane che, con l'accattivante idea di combattere il fenomeno del
bracconaggio ittico, punta a vietare la pesca professionale nei canali e nei
fiumi italiani, lasciando alle Regioni la facoltà di autorizzarla in deroga.
Esercitare la pesca professionale in queste acque, un'arte
più che un mestiere, costituirebbe secondo i sostenitori di questa proposta un
alibi per i bracconieri, in danno per l'ambiente, la pesca professionale e la
pesca sportiva e ricreativa.
A nulla sembrano servire le considerazioni in materia di
diritto al lavoro di quanti operano legalmente in questi ambienti in diverse
Regioni italiane, svolgendo una funzione di presidio in zone altrimenti
abbandonate, con mestieri che rappresentano un vero proprio serbatoio di
culture e tradizioni locali, anche legate alla vocazione turistica del
territorio, con una valenza economica e sociale – quella della pesca
artigianale - che da più parti si intende tutelare.
Qualora i proponenti riuscissero nel loro intento, il giorno
dopo la pesca professionale sarebbe da quel momento in poi tollerata soltanto
nei laghi e nelle lagune costiere salmastre graziate dal legislatore attraverso
un apposito elenco allegato nel quale figurerebbero quelli con una "rilevanza
evidente" (termine vago), vietando – salvo deroghe regionali - di contro quella
in fiumi e canali; lì, infatti, si anniderebbero secondo i sostenitori di
questa novella, quei bracconieri (che, per inciso, sono già oggi punibili ope
legis…) professionali la cui azione "servirebbe ad alimentare il traffico
illecito di stampo industriale di prodotto ittico pescato in corsi d'acqua dove
ci sono evidenti problemi d'inquinamento da metalli pesanti".
Traffico che, lo ricordiamo, già oggi e' oggetto di duro
contrasto e ferma repressione dall'efficace azione delle forze dell'ordine.
Fermezza ed efficacia che, siamo convinti, riusciranno a
stroncare il fenomeno, senza bisogno di creare illegalità gettando fuori legge
chi invece da sempre pratica onestamente questo antico mestiere.
Di qui una considerazione banale quanto inquietante: se
pensassimo di vietare tutto ciò che non si riesce a contrastare con una
efficace opera di controllo e repressione, l'elenco delle proibizioni potrebbe
allungarsi a dismisura.
Che dire allora del diffusissimo fenomeno della pesca
illegale svolta in tutti i mari italiani da quanti, sprovvisti di licenza, si
celano sotto le mentite spoglie di pescatori ricreativi per poi
commercializzare abusivamente ingenti quantitativi di prodotto alla
ristorazione o ai punti di vendita al dettaglio in barba a qualsiasi norma?
Si tratta di un fenomeno talmente diffuso ed importante da
costituire un danno rilevante al settore e all'ambiente che, usando lo stesso
metodo dei sostenitori della proposta di legge 2328, potrebbe non risolversi
con una opera di controllo e contrasto in mare e su tutte le coste italiane.
Perche' non pensare allora ad una soluzione di stampo
radicale vietando la pesca ricreativa e sportiva in mare, salvo centellinate
deroghe regionali?
Al di là della provocazione, e' chiaro che la necessaria
repressione delle illegalità non può essere confusa con interventi a gamba tesa
su settori economici, piccoli o grandi che siano, in cui qualcuno svolge
legittimamente da tempo una attività professionale alla quale, prima ancora di
qualsiasi considerazione giuridica, e' dovuto rispetto e giusta considerazione.
Ne' può essere evocato lo spettro dell'inquinamento che,
laddove esistente, deve essere contrastato alla fonte vietando nel frattempo
l'accesso degli ambienti a chiunque li frequenti – sportivo o professionista
che sia – sotto la precisa responsabilità degli uffici pubblici competenti
(Ministero della transizione ecologica, ASL, assessorati, ecc…).
Non possiamo che augurarci che il legislatore rifletta su
tutto ciò imboccando una direzione diversa da quella voluta da una parte della
pesca ricreativa italiana; una direzione che contrasta con i principi fondanti
della nostra Costituzione e che qualificati accademici, cultori della materia
ed esperti riconosciuti a livello internazionale potrebbero facilmente
confutare.
"L'Italia e' una Repubblica democratica, fondata sul
lavoro…."
"La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed
applicazioni…"
Questi sono i primi commi degli artt. 1 e 35 della nostra
Costituzione; non crediamo che proibire un mestiere per legge sia una cosa
possibile ne' facilmente giustificabile. Siamo fiduciosi che il Parlamento
italiano non commetterà un errore di questo tipo.
Diversamente, sarebbe un pessimo segnale nei confronti di un
settore che soffre già di tanti problemi, il primo dei quali e' l'assenza di
turnover e di prospettive concrete per il futuro; e ciò e' ancor più grave se
pensiamo che il prossimo sarà l'Anno internazionale della pesca artigianale e
dell'acquacoltura (IYAFA 2022).
Nel corso della cerimonia dello scorso novembre il direttore
generale della FAO, Qu Donyu, ebbe modo di evidenziare il contributo dato dai
pescatori artigianali, dai piscicoltori e dai lavoratori del settore ittico al
benessere umano, a sistemi alimentari sani e all'eradicazione della povertà,
attraverso un uso responsabile e sostenibile delle risorse ittiche e
dell'acquacoltura. Nel suo intervento, il Direttore Generale Donyu ha altresì
sottolineato come la visione alla base dell'Anno sia allineata ai "Quattro
Miglioramenti della FAO: produzione migliore, nutrizione migliore, ambiente
migliore, vita migliore per tutti – nessuno escluso".
Bene, sarebbe veramente paradossale se tutto ciò accadesse
proprio quando le Nazioni Unite stanno chiedendo al mondo intero di dedicare
più attenzione a questo meraviglioso mestiere, tanto affascinante quanto
fragile e faticoso.