Intervista con Giuseppe Piscopo, Direttore Generale di Legacoop Agroalimentare

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2 maggio 2016

Intervista con Giuseppe Piscopo, Direttore Generale di Legacoop Agroalimentare

Di Letizia Martirano
 
Giuseppe Piscopo e' stato riconfermato direttore generale di Legacoop Agroalimentare. Un incarico che ricopre da nove anni e che - sottolinea - "mi impone una riflessione, di  natura rigorosamente tecnica, sulle prospettive per i prossimi anni". Tanto più che - aggiunge - sono 37 gli anni di lavoro  svolto nel  settore agricolo.
Fiorentino doc, Piscopo ha iniziato a lavorare in un ente della Regione Toscana passando poi  in una società di servizi e consulenza collegata a Legacoop Toscana e quindi alla cooperativa le Chiantigiane di Tavarnelle, per poi approdare in Legacoop Agroalimentare nazionale  in coincidenza - ricorda - con l'uscita del suo predecessore Mario Campli.
 
Per lei l'agricoltura non ha segreti?
 
Diciamo che sono un pò "malato" di agricoltura. Posso dire anche di aver avuto la fortuna di poter lavorare nell'agroalimentare in quasi tutte le sue componenti salvo forse quella sindacale. 
 

Quali sono i temi che le stanno più a cuore in questo momento?
 
L'Alleanza delle cooperative, l'esperienza di Agrinsieme e, più in generale, il futuro del sistema agroalimentare italiano.
 

Cosa rappresenta l'Alleanza delle cooperative?
 
Per noi l'Alleanza delle cooperative non e'  solo un progetto ma e' il nostro  progetto strategico. Lo ha fatto notare di recente il presidente di Legacoop Lusetti, ricordando che di queste circostanze fortunate ne capitano due o tre nella vita, non di più.
 

Quando lei dice noi cosa intende?
 
Noi non e' qualcosa di generico. Quando dico noi mi riferisco in particolare all'Alleanza delle cooperative agroalimentari. Voglio ricordare che nel 1998  i presidenti di Fedagri, Legacoop agroalimentare e Agci-Agrital firmarono un documento che diede vita a un tavolo di coordinamento che possiamo considerare il vero e proprio  precursore dell'attuale Alleanza delle cooperative agroalimentari. Dunque e' un'esperienza che viene da lontano e che ha registrato un'intensificazione dell'azione comune negli ultimi anni.
 

Prossime tappe?
 
Siamo pronti ad aprire un ufficio unico. Esperienza che, di fatto, stiamo già facendo dopo l'assemblea del novembre scorso quando abbiamo dato vita a  ben nove  coordinamenti settoriali.
 

Coordinamenti tra chi?
 
Abbiamo messo intorno a tavoli di lavoro settoriali i rappresentanti delle imprese cooperative che  al proprio interno hanno espresso un  coordinatore e stanno  lavorando in modo molto intenso ed altrettanto proficuo.
 

Qual e' la novità?
 
Che le imprese aderenti alle tre centrali lavorano insieme intorno a determinati temi comuni. Cosa molto utile per noi dirigenti che siamo in grado così di avere maggiormente il polso delle situazioni. Il che ci torna utile per esempio nelle trattative a Bruxelles. Dove - ricordo - l'Alleanza delle cooperative agroalimentari già da un anno e' presente nella Cogeca con un'unica voce.
Inoltre, mettendo insieme le imprese nei tavoli comuni di lavoro, ci auguriamo che nascano progetti comuni e questo sarebbe un ulteriore valore aggiunto. 
 

Ci sono problemi difficili da risolvere prima che l'Alleanza parta veramente?
 
Per quello che riguarda l'agroalimentare direi di no, ma trattandosi di un progetto più complessivo, che riguarda tutte le organizzazioni cooperative nazionali, vanno risolti alcuni nodi, a cominciare dal modello organizzativo, rispetto ai quali occorre ancora riflettere. Speriamo che dopo l'assemblea della Confcooperative si facciano positivi passi in avanti.
 

Come giudica l'esperienza di Agrinsieme?
 
Una grande scommessa nata dalla straordinaria intuizione di Giuseppe Politi che ha vissuto una prima fase di estremo entusiasmo. Ora siamo in una fase di utile e necessaria ridefinizione perche' va trovato un punto di equilibrio, visto che nessuno di noi pensa a un'organizzazione unica ma piuttosto a un modello simile a quello del Copa-Cogeca. Non si può però nascondere che il punto debole di un modello simile e' l'assenza di una organizzazione importante come la Coldiretti.
 

Come giudica l'esperienza Agrinsieme fin qui fatta?
 
In Agrinsieme si e' lavorato bene e si potrà proseguire ed ulteriormente migliorare, soprattutto se si ragione in una prospettiva di lungo termine, dove gli interessi di agricoltori e cooperative  tendono inevitabilmente a coincidere  sia piano della crescita economica che  su quello della stabilizzazione sociale. Inoltre Agrinsieme e' stata una bella esperienza perche' ha fatto incontrare esperienze, culture  e basi sociali diverse.
 

Ora come bisogna procedere?
 
Dopo la corsa nei territori a costituire Agrinsieme bisogna ora adeguare il passo perche' un coordinamento del genere non si può occupare di tutto ma soltanto di alcune questioni  di carattere e di interesse  generale, tenendo presente che l'obiettivo e' avere  contestualmente buoni bilanci nelle cooperative e redditi adeguati nelle aziende agricole: una bella scommessa! 
 

Quale potrebbe essere un obiettivo comune da perseguire?
 
La cooperazione rappresenta oggi circa il 35% della produzione lorda vendibile agricola; dobbiamo, anche attraverso il lavoro comune in Agrinsieme, portare questa percentuale più in alto. Si deve tener presente che nel Nord Europa la cooperazione rappresenta il 50-60% della produzione lorda vendibile agricola. 
 

Come va l'agroalimentare  italiano secondo il suo punto di osservazione?
 
Non e' tutto oro quel che luccica. Per chi opera dentro le aziende e' noto che c'e' crisi strutturale in alcuni comparti  quali il  latte e la zootecnia.
Tuttavia finalmente e' stato acceso qualche buon riflettore perche' con Expo la politica ha preso atto che l'agro alimentare può essere una componente attiva per lo  sviluppo del nostro Paese.
Però bisogna passare dal dire al fare, progettando un sistema che guardi al futuro eliminando i limiti strutturali esistenti a partire ad esempio dal tema dell'esportazione perche' esportare non e'  più una scelta di diversificazione  commerciale ma una vera e propria necessità.
 

Qual e' il vero problema per chi esporta?
 
Il sistema non e' ancora adeguatamente attrezzato ne' a livello pubblico ne' privato. C'e' bisogno di un forte processo di aggregazione perche' le strade autonome  non sempre risultano praticabili e talvolta possono risultare molto pericolose.
 

Cosa sta facendo l'Alleanza?
 
Noi stiamo lavorando per superare questo limite, che  e' anche di natura culturale, e per avere un sistema di imprese che si possa sempre più definire "internazionalizzato".
 

Come vede il futuro dell'agricoltura non competitiva in senso tradizionale?
 
L'agricoltura produce anche beni pubblici che hanno un valore inestimabile soprattutto nella prospettiva della difesa del suolo, dell'ambiente e del paesaggio. Per questo valore, che non può essere ritenuto gratuito, e che il mercato non riconosce direttamente all'agricoltore, e' dunque  necessario   che  sia  la collettività a farsene carico. Esiste,  infatti, un'agricoltura che produce per il mercato ed un'altra che produce per l'ambiente, per  la difesa del territorio e del paesaggio. Il nostro impegno e' teso a far coesistere e sviluppare entrambi questi aspetti fortemente complementari tra di loro.  



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