Intervento Bolognini: “LA CARTA DI FONTE AVELLANA per l’attuazione di una gestione forestale sostenibile sull’ Appennino”

Conduzione terreni e forestale
6 dicembre 2011

Comunicazione di Teodoro Bolognini – Responsabile settore SILVICOLTURA Legacoop Agroalimentare. Convegno Monte Giove 29 Novembre 2011

 L’iniziativa di oggi e, più propriamente, tutto il progetto del Codice Forestale Camaldolese si caratterizza per questo intreccio fra passato e presente, fra storia e attualità, con l’ambizione di traguardare un’altra idea di futuro.

Non nascondo che è lo stesso spirito con cui, ormai una ventina d’anni fa, la Cooperazione forestale, insieme ai monaci, le istituzioni (Regione Marche / Province / Comunità montane) promosse e favorì quell’incontro che poi ispirò e concretizzò la sottoscrizione della Carta di Fonte Avellana (18/05/1996).

Ci ritrovammo a F. Av. perché colpiti da un’emergenza, quella provocata da una Legge regionale sugli appalti (1993) che, in nome della trasparenza, portava nel nostro Appennino imprese da ogni parte d’Italia sottraendo il lavoro forestale e sistematorio alle uniche che si erano attrezzate per realizzarlo: le cooperative forestali.

La Carta di Fonte Avellana, precorrendo i tempi e dimostrando ancora oggi la sua sconcertante attualità, intanto individua un modello di sviluppo, quello sostenibile, “individuando nella montagna, nella sua complementarietà con le restanti aree, il ruolo fondamentale per assicurare la regimazione delle acque e la tutela del territorio”, individua nella “attività tipiche della montagna (selvicoltura, regimazione idraulico forestali, ingegneria naturalistica, agricoltura e turismo verde) quel patrimonio professionale autoctono da valorizzare ed arricchire, invita a rispettare quella stretta connessione fra tutela del territorio, sistemazioni, residenza, con un’attenzione alla “salvaguardia e all’evoluzione delle professioni connesse alla coltivazione del bosco e all’agricoltura”.

La Carta quindi, individuando nella cultura Camaldolese e Avellanita, i riferimenti cui attingere per una nuova politica, indica una serie di impegni per i firmatari: promuovere la silvicoltura….sostenere l’agricoltura…..sostenere le imprese agricolo-forestali singole e cooperative…” .

La Carta di Fonte avellana indica nella concertazione fra le istituzioni e le imprese, i residenti la modalità migliore per operare.

Ritengo che la Carta di Fonte Avellana si configuri ancora oggi come “monito” ad un grande progetto per il territorio da concepire come la più grande, oggi la più urgente opera infrastrutturale del Paese.

Su quelle elaborazioni, fatte in luoghi da dove, come ebbe a dire il Presidente della Regione Marche, Vito D’Ambrosio, primo firmatario della Carta, “nel corso dei secoli sono usciti messaggi che hanno salvato la nostra civiltà” può poggiare un Progetto per il territorio italiano, predisposto da Governo – Regioni e attuato dalle imprese locali, in accordo con il sindacato,  mutuando un modello che ha già prodotto buoni frutti, basta andare in Versilia o nel Trentino.

 Lodevole quanto annunciato dal neo Ministro all’Ambiente, Corrado Clini, di “un piano straordinario per la sicurezza del territorio italiano in grado di affrontare sia l’emergenza che l’ordinarietà di una politica di prevenzione e messa insicurezza dell’intero territorio”, ma, stante l’entità del problema, questo dovrebbe configurarsi come un progetto dell’intero Governo da concertare con le Regioni (competenti esclusive per alcuni comparti) perché stiamo parlando di un’emergenza nazionale (probabilmente europea) che chiama in causa una pluralità di Istituzioni, di competenze e, quindi, diversi ministeri (almeno Ambiente, Sviluppo Economico, Agricoltura, Beni Culturali  e Lavoro) e, come detto, le Regioni.

Il concorso organico di interventi (e di risorse) è da allocare fra quelli finalizzati allo sviluppo, quello sostenibile, produttivo di sicurezze, base per il rilancio delle attività economiche, del turismo, del made in italy, fonte di consolidamento e sviluppo occupazionale.

“Il fulcro concreto del New Deal lanciato dal Presidente Roosevelt, all’indomani della grande crisi del 1929, scriveva Mario Tozzi in un editoriale del quotidiano La Stampa di Torino (8/11/2010) fu, non a caso, la messa in sicurezza del territorio”. “Se c’è un Paese al mondo che godrebbe vantaggi immensi da un new deal dell’ambiente, incalza Tozzi, da una riconversione ecologica che lo porterebbe anche fuori dall’emergenza economica, …, questo è proprio l’Italia”.

 Curare un territorio fatto di boschi (10,5 milioni di ha, per il 50% abbandonati), di suoli (50% a rischio idrogeologico) di territori a rischio frane (su 712.000 frane censite in Europa, 486.000, 6,9% del territorio, con una superficie complessiva di 20.7000 Kmq stanno in Italia), di bacini idrografici, insiste Luppi, «significa porre le basi del rilancio del Paese, attraverso il turismo e la riconversione economica consolidando e sviluppando occupazione anche facendosi carico di assorbire parte dei licenziati o cassintegrati provenienti dalle fabbriche in crisi».

Dato che un posto di lavoro nel settore costa dai 25 ai 30.000 €/annui, un investimento di 500 milioni di Euro, produrrebbe subito dai 15.000 ai 20.000 nuovi posti di lavoro!

La cooperazione forestale italiana, nata per creare lavoro associando i residenti nelle aree più marginali, forte di una trentennale esperienza nella pianificazione, progettazione ed esecuzione delle opere di  sistemazione forestale, idraulico-agrarie, con i più moderni sistemi dell’ingegneria naturalistica, è a disposizione: attrezzata, preparata, motivata e, quindi, pronta per agire.

Legacoop agroalimentare, nel settore Silvicoltura,  associa  127 cooperative  e 7 consorzi regionali, con un numero di soci e dipendenti intorno alle 2.000 unità ed un fatturato di 150 milioni di Euro annuo e sono presenti principalmente nelle aree Appenniniche del centro Italia. (v. Studio DREAM Italia – 2011)

La quasi totalità delle cooperative forestali italiane, la cui consistenza più che si raddoppia se consideriamo anche le realtà associate a Fedagri/Confcooperative e alle altre Centrali Cooperative, sono nate prevalentemente intorno agli anni ‘80, per rispondere ad una finalità “pubblica”, quella di rendere più organico e strutturato il lavoro forestale, fino ad allora eseguito su chiamata dalle liste di collocamento.

Le cooperative forestali si sono da sempre occupate  di silvicoltura, delle sistemazioni agroforestali, del ripristino ambientale, attraverso i sistemi della ingegneria naturalistica, della lotta e prevenzione incendi boschivi, della manutenzione ordinaria e straordinaria dei bacini fluviali. Alcune di queste vantano primarie esperienze nel campo della pianificazione, progettazione e della formazione in campo forestale.

In molte aree del Paese, negli ultimi anni, associandosi con Enti locali, proprietari di boschi, e proprietari privati,  hanno dato vita a Consorzi forestali assumendosi il merito di rilanciare il grande (e drammatico) tema  della gestione delle foreste, foreste che risultano ormai abbandonate per oltre il 50%.

Di fatto sono andate proponendosi ed imponendosi come gestori dello sviluppo rurale, della multifunzionalità e del presidio territoriale.

Anche sul piano normativo si è lavorato per una evoluzione analoga e parallela. Infatti, la legislazione sulla montagna  (L. 97/94) e successivamente le Leggi di orientamento (57/01 e 38/03) ed i relativi decreti attuativi: 227/01, 228/01, 99/05 e 101/05, le ha equiparate agli imprenditori agricoli. Le imprese cooperative di servizi forestali sono agricole (Studio Banfi – ottobre 2008).

L’art. 8 del citato 227/01 dispone: “Le cooperative ed i loro consorzi che forniscono in via principale, anche nell’interesse di terzi, servizi nel settore selvicolturale, ivi comprese le sistemazioni idraulico-forestali, sono equiparati agli imprenditori agricoli”.

Il legislatore ….ha riconosciuto anche la possibilità di giuridica esistenza di un imprenditore agricolo e mutualistico che non coltiva alcunché, ma che fornisce servizi in un settore comunque agricolo (quello selvicolturale, a spiccata valenza ambientale e di interesse preminentemente pubblico” (Paolo Banfi -2008).

Insomma, il nostro intendimento è quello di attrezzare al meglio l’insieme della realtà associata affinché concorra al più ambizioso, al più urgente,  al più fattibile dei progetti, indicati dalla Carta ed oggi di assoluta attualità: la gestione integrata del territorio e dell’ambiente, finalizzata alla difesa del suolo, alla regimazione idraulica ed al miglioramento delle foreste, per prevenire le calamità naturali (incendi, dissesti) eliminare i rischi ambientali, conseguire gli obiettivi di Kyoto, valorizzare il paesaggio anche come condizione per rilanciare la stessa agricoltura e l’agroalimentare italiano, il turismo ed il made in Italy; il tutto finalizzato alla più grande ed organica opera infrastrutturale di cui il Paese ha urgente bisogno.

 La Carta di Fonte Avellana, per la forza che le deriva dall’autorevolezza dei luoghi in cui è nata e a cui si è ispirata, pone oggi con forza l’esigenza di ripensare ad uno sviluppo diverso, compatibile e rispettoso delle possibilità reali del nostro territorio, uno sviluppo che non può che  avere al centro, per un Paese che vede oltre il 50% del suo territorio a rischio idrogeologico, il risanamento delle criticità ambientali, questo per evitare i troppi lutti che frane ed alluvioni stanno producendo, e per innescare un volano di crescita occupazionale.   

Tutti questi ragionamenti approdano ad impegno che, nella logica della migliore concertazione,  ormai è inderogabile: un grande progetto per l’Appennino.




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